Ogni tanto incontro al Parco qualcuno che ha dei consigli da darmi per migliorare il giardino e renderlo più giapponese, più simbolico, più zen.
Notano l’assenza della lanterna di granito, del ponticello di legno laccato di rosso, di un maggior numero di rocce sul letto di brecciolino, di uninvaso di pietra nel quale far gocciolare l’acqua da un beccuccio di bambù, del ciliegio proprio nel mezzo del giardino che a primavera lo ricopra di petali, della statua di Buddha in meditazione, del ruscello con cascata di vera acqua corrente.
Oltre ad aggiungere elementi nuovi, ritengono opportuno suggerirmi di sostituire le rocce con altre più grandi, cambiare l’ulivo con un pino nano, togliere il bandone di fondo e metterci uno schermo di bambù, oppure ricoprire le altre sezioni del bandone con dipinti: un elmo di samurai, un manga, una carpa koi (quelle bianche chiazzate di rosso), il profilo di una geisha, un haiku.
La cosa migliore è ascoltarli, ringraziarli dei consigli e assicurali che sarà fatto tutto il possibile per realizzare i loro suggerimenti.
Una volta un signore mi ha mostrato le foto del giardino zen che si era costruito in un angolo del terrazzo. In poco più di un metro quadro c’era la sabbia rastrellata, le rocce, un paio di bonsai e tutto quello che ho elencato prima, compreso un altoparlante nascosto che diffondeva una musica di tamburi giapponesi quando qualcuno si avvicinava. Gli ho fatto i miei complimenti e lui è andato via contento. Non potevo dirgli che al suo giardino mancavano due soli elementi, ma fondamentali: il vuoto e l’armonia. Si sarebbe suicidato, ovviamente con un pugnale giapponese (made in China, perché quelli originali giapponesi non si trovano più).